ANTONIO VIGANÒ
“Un Corpo Poetico e Narrativo”
OPEN WORKSHOP – parte I
di Carlo Costantino
Un workshop davvero speciale sul “corpo poetico e narrativo”, quello tenuto dal maestro Antonio Viganò, appena festeggiato con il Titolo de “La Stella dell’Arlecchino Errante”.
Affrontiamo un lavoro “di sottrazione, piuttosto che di aggiunta”, dove impariamo che, se vogliamo raccontare con il nostro corpo e con i movimenti, dobbiamo essere anzitutto consapevoli delle posture che di volta in volta il nostro corpo assume e rimuovere quelle che non ci sono utili per il racconto, o che raccontano cose a nostra insaputa. Operazione tutt’altro che semplice.
Un contenitore può essere riempito solo se vuoto, e per certi versi la metafora è valida per l’attore (che pur non è solo contenitore…).
Da questa iniziale posizione, che potremmo definire neutra, si può iniziare a costruire. Movimenti semplici, ma profondi, in cui la materia che circonda il corpo viene percepita come densa e dunque può essere da questi gesti attraversata, tagliata, bucata, raccolta e poi riversata. Ci rendiamo subito conto che il nostro modo di muoverci, di entrare in scena, di osservare, di agire, assume uno spessore nuovo, altrettanto reale ma più ampio, narrativo, poetico.
Lo stesso vale per la respirazione: ad ogni azione, ad ogni emozione corrisponde un ritmo respiratorio, dunque anche il respiro “racconta” qualcosa e attraverso il suo controllo è possibile suscitare e trasmettere in modo autentico il proprio messaggio. Una semplice azione, come ad esempio quella di aprire una porta immaginaria e guardare cosa c’è nella stanza, racconta cose completamente diverse se la respirazione viene fatta prima inspirando e poi espirando, oppure viceversa.
Ora siamo pronti (si fa per dire… ci vorrebbero decine di ore di allenamento…) per provare a raccontare, con la lingua dei segni, il testo di una splendida canzone di Luigi Tenco, “Se stasera sono qui”. Uno splendido esercizio, che ci fa comprendere quanto, nella comunicazione, sia importante la profondità della gestualità, e la necessità di costruirci un “vocabolario gestuale” (ben altro, rispetto all’attività del mimo), per espandere le nostre possibilità espressive.